Parte 1
C'era una
volta una vecchietta decrepita, che viveva col suo branco di oche, in una
radura solitaria fra i monti e là aveva una casina. La radura era circondata da
un gran bosco e tutte le mattine la vecchia prendeva la sua stampella e
arrancava nel bosco. E là si affaccendava assai più che non si sarebbe creduto
per la sua tarda età: faceva erba per le sue oche e coglieva per sé la frutta
selvatica che trovava a portata di mano e portava tutto a
casa sulla schiena. Si poteva pensare che quel gran peso dovesse
sopraffarla, invece lo portava sempre a casa senza difficoltà. Se incontrava
qualcuno lo salutava tutta gentile. Ma la gente non l'incontrava
volentieri e preferiva allungare la strada e se un padre le passava accanto con
il suo bambino, gli diceva piano: "Guardati da quella vecchia, è furba di tre cotte, è una strega."
Una mattina
veniva per il bosco un bel giovane. Splendeva il sole, gli uccelli cantavano e un'arietta
fresca spirava tra le foglie, ed egli era allegro e felice. Non aveva ancora
incontrato nessuno, quando d'un tratto scorse la vecchia strega inginocchiata, che tagliava l'erba con la roncola. Ne aveva già messo un bel mucchio in un
panno e lì accanto c'erano due cesti pieni di pere e di mele selvatiche.
"Ma nonnina," disse egli, "come fai a portar via tutta questa
roba?" - "Devo portarla, signorino." -rispose la vecchia-
"i figli dei ricchi non ne hanno bisogno, ma i contadini dicono: non ti guardare attorno, giù gobbo tutto il giorno".
"Volete aiutarmi?," disse quando egli le si fermò accanto, "avete
ancora la schiena dritta e le gambe
giovani, per voi sarà una bazzecola e la mia casa non è poi tanto lontana: è su
una radura, là dietro quel monte. In due passi, ci siete." Il giovane ebbe
compassione della vecchia: "Veramente mio padre non è un contadino,"
rispose, "è un conte e molto ricco, ma perché vediate che non soltanto i
contadini sanno portare un peso, prenderò il vostro fagotto." - "Se
volete provare," disse la vecchia, "mi fate piacere! Certo dovrete
camminare per un'ora, ma che vi importa! E dovete portare anche le mele e le
pere." Il giovane conte si insospettì un po' sentendo parlare di un'ora di
cammino, ma la vecchia non lo lasciò più andare, gli cacciò il fagotto sulla
schiena e gli appese al braccio i due cesti. "Vedete, sono una
piuma," disse. "No, non sono una piuma," rispose il conte con
una smorfia di dolore, "Il fagotto pesa come se fossero tutte pietre e le
mele e le pere sembrano di piombo, mi manca quasi il respiro." Aveva
voglia di mettere giù tutto, ma la vecchia non glielo permise. "Guarda un
po'," disse beffarda, "il
signorino non vuole portare quello che una vecchia come me si è tirata dietro
tante volte. A dir belle parole son sempre pronti, ma quando si fa sul serio, vogliono svignarsela. "Cosa state lì ad aspettare," proseguì,
"muovetevi! Quel fagotto non ve lo toglie più nessuno."
Fin che il giovane camminò in piano, poté ancora
resistere, ma quando arrivarono al monte e dovettero salire e i sassi
rotolavano sotto i piedi come se fossero vivi, allora non ci resse più. Gocce
di sudore gli bagnavano la fronte e gli scorrevano giù per la schiena, ora
gelide ora cocenti. "Nonnina," disse, "non ne posso più voglio
riposarmi un poco!" - "Niente affatto," rispose la vecchia,
"quando saremo arrivati potrete riposarvi, ma adesso dovete andare avanti.
Chissà che non vi giovi." - "Vecchia, sei un'insolente!" disse
il giovane, e voleva buttare giù il fagotto, ma si sforzava invano, gli si era
attaccato alla schiena come se avesse fatto radici. Egli si voltava di qua e di
là, ma non riusciva a liberarsene. La vecchia rideva e saltellava sulla sua
gruccia, tutta contenta. "Non arrabbiatevi, caro signore", disse,
"diventate rosso in faccia come un tacchino," "portate il vostro
fagotto con pazienza, quando saremo arrivati vi darò una buona mancia."
E lui cosa poteva fare? Dovette rassegnarsi al suo destino e trascinarsi
pazientemente dietro alla vecchia. Questa sembrava diventare sempre più lieta e
il carico sempre più pesante. D'un tratto ella spiccò un salto, balzò sul fagotto,
e ci si accomodò e, secca e allampanata com'era, pesava più d'una grassa
contadinotta. Al giovane tremavano le ginocchia, ma se non andava avanti, la
vecchia lo batteva sulle gambe con una verga e con delle ortiche. Sempre
gemendo, egli salì su per il monte e, alla fine, arrivò alla casa della
vecchia, proprio quando stava per stramazzare al suolo. Quando le oche videro
la vecchia, alzarono le ali, allungarono il collo e le corsero incontro
schiamazzando. Dietro al branco, con una verga in mano, camminava una donna
attempata, grande e grossa, ma brutta come la notte. "Mamma!" disse
alla vecchia "Vi è capitato qualcosa? Avete tardato tanto!" -
"Nient'affatto, piccina," rispose quella, "non mi è capitato
niente di male, al contrario, questo buon signore ha portato il mio carico e,
pensa, quando ero stanca, ha preso anche me sulla schiena. La strada non ci è parsa
lunga, siamo stati allegri e abbiamo sempre scherzato insieme."
Infine la vecchia
sdrucciolò a terra, gli tolse il fagotto dalla schiena e i cesti dal braccio, lo
guardò amorevolmente e disse: "Adesso mettetevi sulla panca davanti
all'uscio e riposatevi. Vi siete guadagnato onestamente il vostro compenso e l'avrete."
Poi disse alla guardiana delle oche: "Tu va in casa, piccina, non va bene
che resti sola con un giovanotto, non si deve versar olio sul fuoco, potrebbe
innamorarsi di te." Il conte non sapeva se piangere o ridere, "Un tesoruccio
simile"-pensava- "anche se avesse trent'anni di meno, non potrebbe toccarmi
il cuore."
Intanto la vecchia accarezzava e vezzeggiava le oche come bambine, poi entrò in
casa con la figlia. Il giovane si sdraiò sulla panca sotto un melo selvatico.
"E'
proprio carino qui," disse il giovane, " sono così stanco che non
posso tenere gli occhi aperti, dormirò un poco. Purché non venga una folata di
vento a portarmi via le gambe, perché sono proprio di ricotta."
Dormiva da poco tempo quando venne la vecchia e lo svegliò scrollandolo.
"Alzati," disse, "non puoi restare qui. Ti ho tormentato, è
vero, ma non ci hai poi rimesso la vita. Ora ti darò la tua ricompensa - denaro
e beni non ti occorrono, eccoti qualcosa d'altro." E gli mise in mano una
scatoletta, ricavata da un unico smeraldo. "Conservala con cura,"
disse, "ti porterà fortuna." Il conte saltò in piedi e, sentendosi
fresco e rinvigorito, ringraziò la vecchia del suo dono e si incamminò senza
neppur voltarsi a guardare la bella figlioletta. Aveva già fatto un buon pezzo
di strada che udiva ancora a distanza l'allegro schiamazzo delle oche.
Il conte
dovette vagare tre giorni in quella radura selvaggia, prima di trovare la
strada per uscirne. Poi arrivò in una grande città e, siccome nessuno lo
conosceva, lo condussero al castello reale, dove il re e la regina sedevano sul
trono.
Il conte piegò le ginocchia, trasse di tasca lo smeraldo e lo depose ai piedi
della regina. Ella gli ordinò di alzarsi ed egli dovette offrirglielo, ma
appena la regina l'aprì e vi guardò dentro, cadde a terra come morta. Il conte
fu arrestato dai servitori del re e stavano per condurlo in prigione, quando la
regina aprì gli occhi e gridò di lasciarlo libero e che uscissero tutti perché voleva
parlargli in segreto.