mercoledì 15 settembre 2021

Scende candida la neve- canzone


 










Scende candida la neve

Scende candida come una sposa, su strade su tetti leggiadra si posa.

Si posa ovunque,
persin sul Tamigi
si posa a Vienna, a Milano e Parigi.

Sugli alberi si forma una chioma, anche se gelida lei si rinnova.

La neve scende, bianca e fatata “mamma che freddo! Cameriere, una cioccolata!”


Musica di: Paolo La Rosa

Testo di: Lorenzo Bartolo – Classe 5° C, Scuola Primaria “Gianni Rodari” Opera (MI) 


giovedì 27 febbraio 2020

Grimm fiaba: la guardiana delle oche alla fonte 1













 Parte 1

C'era una volta una vecchietta decrepita, che viveva col suo branco di oche, in una radura solitaria fra i monti e là aveva una casina. La radura era circondata da un gran bosco e tutte le mattine la vecchia prendeva la sua stampella e arrancava nel bosco. E là si affaccendava assai più che non si sarebbe creduto per la sua tarda età: faceva erba per le sue oche e coglieva per sé la frutta selvatica che trovava a portata di mano e portava  tutto a casa sulla schiena. Si poteva pensare che quel gran peso dovesse sopraffarla, invece lo portava sempre a casa senza difficoltà. Se incontrava qualcuno lo salutava tutta gentile. Ma la gente non l'incontrava volentieri e preferiva allungare la strada e se un padre le passava accanto con il suo bambino, gli diceva piano: "Guardati da quella vecchia, è furba di tre cotte, è una strega."
Una mattina veniva per il bosco un bel giovane. Splendeva il sole, gli uccelli cantavano e un'arietta fresca spirava tra le foglie, ed egli era allegro e felice. Non aveva ancora incontrato nessuno, quando d'un tratto scorse la vecchia strega inginocchiata, che tagliava l'erba con la roncola. Ne aveva già messo un bel mucchio in un panno e lì accanto c'erano due cesti pieni di pere e di mele selvatiche. "Ma nonnina," disse egli, "come fai a portar via tutta questa roba?" - "Devo portarla, signorino." -rispose la vecchia- "i figli dei ricchi non ne hanno bisogno, ma i contadini dicono: non ti guardare attorno, giù gobbo tutto il giorno".
"Volete aiutarmi?," disse quando egli le si fermò accanto, "avete ancora la schiena  dritta e le gambe giovani, per voi sarà una bazzecola e la mia casa non è poi tanto lontana: è su una radura, là dietro quel monte. In due passi, ci siete." Il giovane ebbe compassione della vecchia: "Veramente mio padre non è un contadino," rispose, "è un conte e molto ricco, ma perché vediate che non soltanto i contadini sanno portare un peso, prenderò il vostro fagotto." - "Se volete provare," disse la vecchia, "mi fate piacere! Certo dovrete camminare per un'ora, ma che vi importa! E dovete portare anche le mele e le pere." Il giovane conte si insospettì un po' sentendo parlare di un'ora di cammino, ma la vecchia non lo lasciò più andare, gli cacciò il fagotto sulla schiena e gli appese al braccio i due cesti. "Vedete, sono una piuma," disse. "No, non sono una piuma," rispose il conte con una smorfia di dolore, "Il fagotto pesa come se fossero tutte pietre e le mele e le pere sembrano di piombo, mi manca quasi il respiro." Aveva voglia di mettere giù tutto, ma la vecchia non glielo permise. "Guarda un po'," disse  beffarda, "il signorino non vuole portare quello che una vecchia come me si è tirata dietro tante volte. A dir belle parole son sempre pronti, ma quando si fa sul serio, vogliono svignarsela. "Cosa state lì ad aspettare," proseguì, "muovetevi! Quel fagotto non ve lo toglie più nessuno."
 Fin che il giovane camminò in piano, poté ancora resistere, ma quando arrivarono al monte e dovettero salire e i sassi rotolavano sotto i piedi come se fossero vivi, allora non ci resse più. Gocce di sudore gli bagnavano la fronte e gli scorrevano giù per la schiena, ora gelide ora cocenti. "Nonnina," disse, "non ne posso più voglio riposarmi un poco!" - "Niente affatto," rispose la vecchia, "quando saremo arrivati potrete riposarvi, ma adesso dovete andare avanti. Chissà che non vi giovi." - "Vecchia, sei un'insolente!" disse il giovane, e voleva buttare giù il fagotto, ma si sforzava invano, gli si era attaccato alla schiena come se avesse fatto radici. Egli si voltava di qua e di là, ma non riusciva a liberarsene. La vecchia rideva e saltellava sulla sua gruccia, tutta contenta. "Non arrabbiatevi, caro signore", disse, "diventate rosso in faccia come un tacchino," "portate il vostro fagotto con pazienza, quando saremo arrivati vi darò una buona mancia."
E lui cosa poteva fare? Dovette rassegnarsi al suo destino e trascinarsi pazientemente dietro alla vecchia. Questa sembrava diventare sempre più lieta e il carico sempre più pesante. D'un tratto ella spiccò un salto, balzò sul fagotto, e ci si accomodò e, secca e allampanata com'era, pesava più d'una grassa contadinotta. Al giovane tremavano le ginocchia, ma se non andava avanti, la vecchia lo batteva sulle gambe con una verga e con delle ortiche. Sempre gemendo, egli salì su per il monte e, alla fine, arrivò alla casa della vecchia, proprio quando stava per stramazzare al suolo. Quando le oche videro la vecchia, alzarono le ali, allungarono il collo e le corsero incontro schiamazzando. Dietro al branco, con una verga in mano, camminava una donna attempata, grande e grossa, ma brutta come la notte. "Mamma!" disse alla vecchia "Vi è capitato qualcosa? Avete tardato tanto!" - "Nient'affatto, piccina," rispose quella, "non mi è capitato niente di male, al contrario, questo buon signore ha portato il mio carico e, pensa, quando ero stanca, ha preso anche me sulla schiena. La strada non ci è parsa lunga, siamo stati allegri e abbiamo sempre scherzato insieme."
Infine la vecchia sdrucciolò a terra, gli tolse il fagotto dalla schiena e i cesti dal braccio, lo guardò amorevolmente e disse: "Adesso mettetevi sulla panca davanti all'uscio e riposatevi. Vi siete guadagnato onestamente il vostro compenso e l'avrete." Poi disse alla guardiana delle oche: "Tu va in casa, piccina, non va bene che resti sola con un giovanotto, non si deve versar olio sul fuoco, potrebbe innamorarsi di te." Il conte non sapeva se piangere o ridere, "Un tesoruccio simile"-pensava- "anche se avesse trent'anni di meno, non potrebbe toccarmi il cuore."

Intanto la vecchia accarezzava e vezzeggiava le oche come bambine, poi entrò in casa con la figlia. Il giovane si sdraiò sulla panca sotto un melo selvatico.
"E' proprio carino qui," disse il giovane, " sono così stanco che non posso tenere gli occhi aperti, dormirò un poco. Purché non venga una folata di vento a portarmi via le gambe, perché sono proprio di ricotta."
Dormiva da poco tempo quando venne la vecchia e lo svegliò scrollandolo. "Alzati," disse, "non puoi restare qui. Ti ho tormentato, è vero, ma non ci hai poi rimesso la vita. Ora ti darò la tua ricompensa - denaro e beni non ti occorrono, eccoti qualcosa d'altro." E gli mise in mano una scatoletta, ricavata da un unico smeraldo. "Conservala con cura," disse, "ti porterà fortuna." Il conte saltò in piedi e, sentendosi fresco e rinvigorito, ringraziò la vecchia del suo dono e si incamminò senza neppur voltarsi a guardare la bella figlioletta. Aveva già fatto un buon pezzo di strada che udiva ancora a distanza l'allegro schiamazzo delle oche. 
Il conte dovette vagare tre giorni in quella radura selvaggia, prima di trovare la strada per uscirne. Poi arrivò in una grande città e, siccome nessuno lo conosceva, lo condussero al castello reale, dove il re e la regina sedevano sul trono.
Il conte piegò le ginocchia, trasse di tasca lo smeraldo e lo depose ai piedi della regina. Ella gli ordinò di alzarsi ed egli dovette offrirglielo, ma appena la regina l'aprì e vi guardò dentro, cadde a terra come morta. Il conte fu arrestato dai servitori del re e stavano per condurlo in prigione, quando la regina aprì gli occhi e gridò di lasciarlo libero e che uscissero tutti perché voleva parlargli in segreto. 



giovedì 13 settembre 2018

La gallinella bianca- canzone



 LA GALLINELLA BIANCA

La gallinella bianca- seduta sulla panca,
lavora la calzina- per comare Serpentina.
Passò un galletto rosso- rideva a più non posso,
passò una cavalletta- perdeva la scarpetta,
scarpetta d’oro fino- passò un bel canarino,
un canarino matto- passò di la’ un bel gatto,
un gatto con gli occhiali- e con tre bei stivali.
Gatto gattino dove hai perso il tuo zampino?
l’ha preso una rana per suonare la campana,
campana della sera che invita alla preghiera.
            Din e don dan e din, balla l’acqua nel catin
            Il catina va in sette cocci, ne farem sette cartocci
            Uno a me, uno a te, uno allo sguattero del re
            Uno alla bianca topolina, uno al mago Bimbirimbon,
            uno l’ho do a chi non so, uno lo do a chi vuoi tu
            e di cocci non ne ho più.
La gallinella bianca-seduta sulla panca,
lavora che lavora-non si è stancata ancora,
ride il gallo, ride il gatto, ride il canarino matto,
la gallinella bianca riflettere non sa
fra poco dormirà...fra poco dormirà.


Testo popolare, raccontato da
Angela Maria Mantovani